Ho incontrato molte persone che negli anni del fascismo erano bambini, o poco più che ragazzi. Mi hanno raccontato cosa volesse dire vivere sotto regime. Lascio agli storici la spiegazione di come una dittatura sia riuscita a condizionare il pensiero e la vita degli italiani vissuti tra il 1921 e il 1945. L’Italia era il Regno di Vittorio Emanuele III e governato da Benito Mussolini, capo del partito nazionale fascista.
Adelmo Franceschini, deportato a 18 anni in Nord Europa in un campo di internamento per militari, mi ha detto, era normale essere fascisti, indossare la divisa da balilla, poi da avanguardista, era la normalità, avevo persino lodevole nella storia e nella cultura fascista. Per due anni ha patito fame, botte e umiliazioni in un lager nazista per aver detto No, all’alleanza con i tedeschi e i fascisti dopo l’8 settembre 1943.
Ho ascoltato tante storie di bambini e bambine di allora: ricordano la gioia di fare sport nelle competizioni e nelle grandi adunate, di andare a scuola e studiare, anche se c’era sempre un prezzo da pagare se non eri allineato al pensiero unico. Liliana Lanzarini racconta, la maestra ci trattava male perché non avevamo la divisa da piccole italiane, ed eravamo figli di bolscevichi, socialisti, quindi degni del suo disprezzo. Nelle grandi famiglie contadine, fin da piccoli, si lavorava in campagna e studiare era considerato un privilegio. L’esistenza di questi bambini era divisa tra la vita in famiglia, fatta di duro lavoro e miseria, di persecuzione da parte del fascismo perché di tradizione socialista o comunista, e la società fascista intorno a loro, con le sue belle divise, le parate, i giochi, la possibilità di un riscatto.
Sulla bancarella di un mercatino rionale ho trovato un testo scolastico, Il libro della terza classe elementare (impresso nelle officine grafiche A. Mondadori nel 1935 –XIV a Verona, prezzo di copertina Lire 6,00), sulla prima pagina c’è la firma incerta a matita di Safirio. La copertina esprime chiaramente cosa fosse il fascismo e quale fosse il compito per il regime dell’educazione dei piccoli italiani: grande, al centro, quasi un monumento, c’è il fascio littorio, uno dei simboli del fascismo, (con il saluto romano e l’aquila sono icone riprese dalla storia dell’antica Roma), piccolo, ai piedi del fascio littorio, c’è un bambino sull’attenti, con la divisa da balilla e il fucile.
Che cos’è il fascio littorio? Nell’antica Roma è l’emblema del potere di vita e di morte sui nemici. È l’arma portata dai littori, le guardie del corpo di re e imperatori, un fascio di bastoni con un’ascia di bronzo, Il fascismo lo ha fatto proprio. I motivi possiamo leggerli nelle parole usate nei motti fascisti: Nel segno del littorio noi abbiamo vinto, nel segno del littorio noi vinceremo domani/ Credere, obbedire, combattere / Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se mi uccidono vendicatemi/ Faremo piazza pulita.
Basta leggere alcuni capitoli de Il libro della terza classe elementare, manuale didattico unico, per capire cosa aspettasse i bambini e le bambine a scuola e quale sarebbe stato il loro dovere in futuro. Per tutti una divisa dove far crescere futuri soldati, pronti a Credere, obbedire e combattere. Venivano suddivisi in fasce di età:
Figli della Lupa: ragazzi e ragazze dai 6 ai 18 anni
Balilla: ragazzi dagli 8 ai 14 anni
Piccole italiane : ragazze dagli 8 ai 14 anni
Avanguardisti: ragazzi dai 14 ai 18 anni, veniva curato l’addestramento e la preparazione militare dei giovani;
Giovani Italiane: ragazze dai 14 ai 18 anni.
Dopo i 18 anni fino ai 22, i ragazzi entravano nei “Fasci Giovanili di Combattimento” e le ragazze nelle “Giovani fasciste”.
Il 1938 l’emanazione delle leggi razziste, contro la comunità ebraica in Italia, separa i bambini, li espelle dalle scuole, li rinchiude nelle case o in piccole scuole destinate agli ebrei. Nel 1943 li condanna, insieme alle famiglie, alla deportazione: catturati, arrestati e coscientemente mandati a morire nei lager in Germania: i bambini vengono uccisi nelle camere a gas, a volte strappati dalle madri e dai padri, a volte insieme a loro, i più grandi sopravvivono per lavorare, i più sfortunati diventano cavie per gli esperimenti scientifici del dottor Mengele.
“Il 15 luglio 1938 fu emanato il Manifesto della Razza e il 5 settembre 1939 fu emanato il Regio Decreto numero 1390, con il quale lo Stato Italiano prendeva provvedimenti per la difesa della razza nelle scuole fasciste.
Ecco cosa scriveva al Duce, un bambino ebreo appartenente ai Balilla:
“Roma, 16-9-1938 Duce! È un Vostro Balilla Moschettiere, che viene oggi da Voi per pregare per sé stesso, per i propri genitori e per la sorella. Sono un fervido Balilla con croce al merito, capo squadra, moschettiere del Duce e mi chiamo Volfango Giorgio Gruen, ho 11 anni ed appartengo alla 28° Legione del Centurione Volpi. Ho partecipato al campeggio nelle vacanze e voglio adesso cominciare la IIa Ginnasio al Regio Ginnasio-Liceo Umberto I. Sono disperato, perché dobbiamo andare via dall’Italia, essendo noi tedeschi cattolici, ma di origine israelita. Siamo da 5 anni a Roma ed abbiamo fatto la domanda di cittadinanza Italiana. Mio papà è fascista come me e la mia famiglia ama come me Voi e l’Italia. Duce! Io, per tutta la mia vita voglio servire l’Italia con tutte le mie forze, Vi prego col cuore di un Balilla, lasciateci rimanere a Roma. Papà manda pure i suoi documenti, cosicché vedete che non siamo cattiva gente, e lasciateci rimanere. Un saluto Fascista Volfango Giorgio Gruen Moschettiere della 28° Legione.”
(tratto dalla ricerca LA VITA DEI BAMBINI DURANTE IL VENTENNIO FASCISTA di Giulia Antonelli, Michele Bigatton, Francesco Dario, Agnese Lorenzon, Ambra Makuc, Simone Pecoraro, Andrea Raccovelli I.S.I.T. N. Pacassi di Gorizia)
Al grido di “Viva il Duce!” la società italiana e i territori occupati dalle truppe dell’esercito italiano in Africa, nei territori slavi, furono sottoposti al controllo del regime fascista di Mussolini, fascistizzate: per gli oppositori, manganello, purghe all’olio di ricino, carcere, confino, deportazione e morte.
Fascistizzazione: RENDERE CONFORME ALLE DIRETTIVE E AL PENSIERO DEL PARTITO NAZIONALE FASCISTA
“Il territorio chiamato Venezia Giulia, cioè le terre conquistate e annesse dopo la Prima guerra mondiale, con il trattato di Rapallo del 1920, era infatti una regione multietnica e multilingue, e più della metà della sua popolazione era costituita da sloveni e croati che in base al pensiero nazionalista dominante nel ceto politico italiano, dovevano essere italianizzati o in altri modi eliminati. Provvedimenti repressivi e tesi alla snazionalizzazione degli ‘allogeni’, (appartenente ad una altra nazione che conserva identità culturale e politica, qui in senso dispregiativo) come venivano chiamati per intendere una loro pretesa estraneità rispetto al territorio, sottintendendo una loro recente migrazione, furono adottati subito dopo l’annessione, già negli anni prima che il fascismo andasse al potere, quando la Venezia Giulia era amministrata da un governatore militare, Carlo Petitti di Roreto. Nonostante le iniziali rassicurazioni da parte del governo italiano sul rispetto dei diritti delle minoranze, di fatto fu impedito che tornassero nel territorio della Venezia Giulia molti dei soldati ivi residenti, ma non nati nella Venezia Giulia, che avevano combattuto nell’impero austro-ungarico; vennero allontanati i funzionari sloveni, croati e tedeschi; i dipendenti dello Stato, ferrovieri e maestri, si cominciò a sostituirli con personale proveniente da altre regioni; si limitò la stampa in lingua slovena e croata. Questi provvedimenti e tanti altri che sarebbero stati poi attuati in maniera più accanita e con l’avallo delle leggi fatte ad hoc nel periodo fascista, furono la causa del primo grande esodo dalla regione, che interessò circa centomila sloveni e croati, che si rifugiarono nel Regno di Jugoslavia o emigrarono in altri paesi. (…) D’altra parte, perfettamente in sintonia con questi propositi e linguaggio, Mussolini nel 1920 affermò a Pola, senza mezzi termini, che bisognava “espellere questa razza barbara, inferiore slava da tutto l’Adriatico”, dimostrando senza reticenze quali fossero la mentalità e gli intenti con cui i ceti al potere in Italia si apprestavano a portare ‘la civiltà italiana’ in queste terre. Già nel 1919 si era formata a Trieste una sezione del Fascio, che divenne ben presto la più grande d’Italia, e si dedicò alla persecuzione violenta e sistematica di sloveni e croati, oltre che alla distruzione della vasta rete di organizzazioni del movimento operaio delle terre del confine orientale. L’azione squadristica più eclatante fu nel luglio del 1920 l’incendio del Narodni Dom, la casa della cultura degli sloveni e croati di Trieste. Durante quest’azione, compiuta con la complicità degli organi di polizia e con il sostegno propagandistico della stampa triestina filoitaliana, morirono due persone e andò in fumo il patrimonio culturale delle componenti slave della città. Questa azione ebbe un valore emblematico per gli sloveni e i croati triestini, goriziani e istriani che da quel momento seppero cosa avrebbero dovuto aspettarsi dai fascisti e dall’Italia. (…)
Con la presa del potere da parte di Mussolini, questa aggressività fascista si trasformò
in leggi ben precise e provvedimenti di persecuzione culturale, economica e poliziesca: italianizzazione dei nomi e dei toponimi; divieto di parlare la propria lingua nella scuola
e negli uffici; chiusura di giornali, biblioteche e istituzioni culturali slovene e croate; spostamento di dipendenti pubblici ‘allogeni’ in altre parti del regno e loro sostituzione in loco con elementi di sicura ‘italianità’; distruzione degli enti economici e finanziari sloveni e croati; persecuzione di coloro che si opponevano a queste disposizioni e repressione violenta degli oppositori; forti discriminazioni sul posto di lavoro e nella ricerca del lavoro; requisizione delle terre di contadini sloveni e croati attraverso la persecuzione fiscale e loro assegnazione tramite l’Ente Tre Venezie a contadini provenienti da altre regioni.
Kersevan, Alessandra. Lager italiani (Italian Edition). Nutrimenti
MAPPE
TESTIMONIANZE
IL FASCISMO NELLA SCUOLA
ADELMO FRANCESCHINI, internato militare n° 46737 STALAG III C Barsdorf. Intervista realizzata ad Anzola dell’Emilia l’11/03/2002
ESTRATTO
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Il libro della terza classe elementare
FILM
IL FASCISMO IN ITALIA
Estratto del film “Al di la del fiume tra gli alberi” di Antonella Restelli – 2002
1938: LEGGI RAZZIALI
TESTIMONIANZE
FASCISTIZZAZIONE DEI TERRITORI SLAVI OCCUPATI
RICCARDO GORUPPI, deportato n° 135423 a Dachau. Intervista realizzata a Triste l’11/12/2000.