(…)Il campo di concentramento fascista venne innalzato nel 1941 in previsione dell’arrivo di prigionieri dal fronte russo, ma di russi non ne vennero mai.
La Provincia italiana di Lubiana venne annessa all’Italia il 6 aprile 1941, dopo la spartizione con la Germania e l’Ungheria del Regno di Jugoslavia. La reazione della popolazione fu immediata: nel giro di pochi giorni vennero organizzati gruppi armati di ribelli contro l’invasore.
Le autorità fasciste della zona, civili e militari, tentarono di piegare la resistenza incendiando villaggi, fucilando, deportando intere popolazioni.
I prigionieri delle rappresaglie furono concentrati a Gonars. Erano civili, soprattutto studenti, docenti, intellettuali, artisti, artigiani e operai. Ovvero tutti i potenziali oppositori al regime.
Nell’estate del 1942 il campo conteneva oltre 6.000 internati, a fronte di una struttura progettata per meno di 3.000 persone. Il sovraffollamento favorì la diffusione di epidemie dovute alla scarsa igiene e alla pessima alimentazione e iniziarono a registrarsi le prime vittime. Ma quello era proprio l’obiettivo, come sintetizzò il generale Gastone Gambara commentando il campo fascista di Arbe (o Rab): “Il campo di concentramento non è campo d’ingrassamento: individuo malato uguale a individuo che sta tranquillo”.
Nel primo periodo di attività del campo erano detenuti, sotto falso nome, gli esponenti del Fronte di liberazione sloveno, futuri capi della resistenza jugoslava, alcuni dei quali riuscirono a evadere nell’agosto del ’42. Dopo la fuga si preferì smistare gli internati in altri campi italiani, ma quello di Gonars non venne smantellato, cambiarono solo le tipologie di prigionieri: donne, bambini e anziani, tutti provenienti da Arbe dove erano stati detenuti in condizioni al limite del tollerabile.
Il campo rimase così attivo fino alla capitolazione dell’esercito italiano. Qui, in poco meno di un anno – riporta la guida – nonostante “l’impegno umano di alcuni degli ufficiali e soldati del contingente di guardia, quale il medico Mario Cordaro, morirono, di fame e malattie, oltre 500 persone”. Almeno settanta erano neonati “nati e morti in campo di concentramento”.
Un luogo che ha segnato profondamente la vita delle persone che vi hanno transitato, delle famiglie di chi vi ha trovato la morte.(…)
Da La Memoria in affitto di Gemma Bigi su www.anpi.it /articoli 19 dicembre 2013
FOTO del CAMPO
Il campo di Gonars, come tutti gli altri campi fascisti per internati jugoslavi, è attivo fino all’armistizio dell’8 settembre 1943, quando l’esercito italiano è allo sbando e il contingente di guardia fugge. Il campo viene smantellato, dopo pochi mesi, per utilizzare i materiali per costruire l’asilo infantile e altri edifici, dalla morte alla vita. Delle strutture del campo non rimane più niente se non un monumento a ricordo, sperduto in mezzo alla campagna.
FOTO del SACRARIO di Antonella Restelli
Le autorità jugoslave nel 1973 costruirono nel cimitero cittadino un sacrario, ad opera dello scultore Miodrag ivkovi e in due cripte furono trasferiti i resti di 453 cittadini sloveni e croati internati e morti nel campo di concentramento di Gonars.