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Che cos’è un campo di concentramento?
Un campo di concentramento è un posto dove la prima imprescindibile caratteristica è estraniare le persone dalla loro vita. Sorge per questo in zone desolate, in luoghi abbandonati e ha sempre lo stesso aspetto: un recinto, delle torri di sorveglianza, delle baracche per gli internati e un edificio di aspetto più solido per il comandante del campo e per i guardiani. Le dimensioni del campo variano secondo “le necessità”.
Quali sono le necessità di un campo di concentramento?
Per questo non bisogna cadere nell’errore di pensare che tutti campi di concentramento siano uguali. Si farebbe un danno alla Storia. I campi di concentramento e di sterminio tedeschi costituiscono unico esempio di sistema di raccolta, sfruttamento ed eliminazione di esseri umani.
I campi o lager vengono costruiti inizialmente nel 1933 in Germania per rinchiudere i nemici tedeschi, contrari al regime nazionalsocialista; questi campi rimasero in funzione fino al 1936, sotto il controllo delle SA, le Sturm Abteilungen – squadre d’assalto, poi sostituite delle SS, Schutzstaffel o squadre di sorveglianza del regime, volute di Heinrich Himmler.
Dal 1929 fino alla fine del regime nel 1945, le SS furono la principale organizzazione di sicurezza, sorveglianza e controllo all’interno della Germania e dell’Europa occupata. Agli ordini delle SS venne istituita la Gestapo per neutralizzare ogni opposizione, vera o presunta, e sorvegliare con il terrore il popolo tedesco, impedendo in Germania e nei territori occupati, ogni forma di resistenza.
Le SS- Totenkopfverände –unità teste di morto, una vera organizzazione criminale, gestivano i campi di concentramento e di sterminio, insieme ai soldati della Wermacht, resero operativa l’uccisione di milioni di persone. Il KLZ Konzentrazionlager Dachau costruito nel 1933 fu il prototipo dei successivi lager, rimase attivo fino al 1945 e fece parte del sistema concentrazionario esteso in tutto il Terzo Reich.
Il popolo era accecato dalla politica del regime nazista: un bravo cittadino, iscritto al partito, condizionato fin da bambino dal culto di Hitler, considera gli oppositori politici come qualcuno che si è messo al di fuori dalla legge e quindi da isolare, la punizione diventa quindi legittima.
I cittadini tedeschi accettano il campo di concentramento per questo motivo. Poi dopo i cattivi cittadini arriva il momento degli esseri considerati “inferiori”, indegni di un trattamento umano: il vicino di casa ebreo con tutta la sua famiglia, il sarto, il professore.
La poesia di Bertold Brecht Prima vennero sottolinea l’indifferenza dei tedeschi dopo l’ascesa al potere di Hitler e ricorda che, prima o poi, chiunque avrebbe potuto essere preso di mira, senza possibilità di scampo: si diventava nemici di Hitler solo per il fatto di non essere conformi all’ideologia nazionalsocialista: politici, ebrei, rom e sinti, testimoni di Geova, omosessuali, disabili.
Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare
La poesia prende spunto da un sermone del pastore luterano e teologo tedesco Martin Niemöller, arrestato su ordine di Hitler e rinchiuso nel campo di concentramento di Dachau. Sopravvissuto al campo passò gli anni successivi della sua vita a diffondere messaggi di pace e contro le discriminazioni. Forse per questo siamo sopravvissuti, lo dicono tutti i deportati.
Cosa serviva, oltre ad eliminare e rinchiudere i nemici, il campo di concentramento?
La popolazione della Germania nazista e dei territori occupati vive in uno stato di terrore e di controllo continuo: il campo resta avvolto in un alone di mistero sul destino degli internati, chi viene arrestato e deportato non fa più ritorno.
Dove finiscono le persone catturate, le migliaia e migliaia di persone inghiottite e sbattute sui treni, bambini, donne, uomini, vecchi? Quasi 12 milioni di persone sono state uccise o morte di stenti, per la fame, il freddo, le condizioni precarie di vita nell’indifferenza generale.
Ad Auschwitz, dal maggio 1942 al maggio 1944, gli ebrei dopo lunghi giorni di viaggio nei vagoni piombati, senza mangiare né bere, senza possibilità di un posto per i bisogni corporali scendono dai treni e tra calci, pugni e urla si posizionano sulla Judenrampe, una diramazione ferroviaria, costruita a poca distanza dalla stazione principale, in due lunghissime file di persone terrorizzate: uomini da una parte, donne e bambini dall’altra.
Testimonianza di Sami Modiano, sopravvissuto ad Auschwitz-Birkenau.
Auschwitz – Birkenau non era solo un campo, era il campo di sterminio progettato per l’eliminazione del popolo ebraico. Per molte di queste persone il viaggio finiva lì su quella rampa: dopo la prima separazione in due file, avveniva la prima selezione di vita o di morte immediata. Joseph Mengele, il dottor Joseph Mengele, con un gesto della mano, decideva la loro sorte: fila di sinistra camere a gas e forno crematorio, fila di destra ingresso nel campo verso la Sauna.
Chi entrava nel campo passava attraverso il primo fondamentale rituale, il processo di spersonalizzazione, il deportato perde il suo nome e diventa un numero di matricola da imparare a memoria in tedesco.
“Lasciare i vestiti, doccia, depilazione di tutto il corpo, immatricolazione con il numero e il simbolo cucito sulla divisa (triangolo rosso per i politici, stella gialla per gli ebrei ecc..) e vestizione con la divisa a righe o stracci recuperati da altri detenuti ormai morti, senza indumenti intimi, zoccoli o scarpe spaiate a volte troppo strette, a volte troppo larghe.
“Uscirete solo dal camino, dicevano ai prigionieri all’arrivo”
La durata media della vita era stata calcolata dagli stessi nazisti di tre mesi.
Testimonianza di Sami Modiano
Perché alcuni deportati scampano alla morte immediata?
I prigionieri vengono inseriti nell’altra caratteristica fondamentale del sistema: lo sfruttamento produttivo. Il deportato diventa una forza lavoro per le fabbriche tedesche con poca spesa e nessuna preoccupazione per la loro salute. Diventano gli schiavi di Hitler: ritmi di lavoro massacranti, scarsa alimentazione. Il freddo e il trattamento disumano fanno spesso ammalare i deportati, per questo vengono sottoposti a continue selezioni e se non più considerati abili al lavoro, vengono inviati al Revier (infermeria), anticamera della camera a gas e del forno crematorio. “Arbeit macht frei” è il motto all’ingresso di alcuni campi.
“Il lavoro rende liberi”, lavori fino a morire e solo la morte ti farà uscire dall’inferno del campo.
Il lager nazista è una “fabbrica della morte”, di uccisione programmata: l’eliminazione degli internati era praticata in tutte le maniere possibili e inimmaginabili, col lavoro, gli esperimenti medici, le fucilazioni, il gas (ossido di carbonio, il tristemente famoso CyKlon B) e con altri mezzi, che non voglio citare. La vita nel lager, se di vita si può parlare, era di proprietà delle SS e dei Kapò.
Auschwitz- Birkenau è il più grande cimitero a cielo aperto pensato da una mente “umana”.
Nei territori nazifascisti tra il 1933 e il 1945, Hitler e i suoi alleati crearono più di 42.000 campi di concentramento e altre strutture per rinchiudere e isolare gli ebrei e gli indesiderabili. Si calcolano quasi 12 milioni di morti, di cui 6 milioni erano ebrei.
Se Hitler avesse vinto la guerra, i camini dei forni crematori sarebbero tuttora in funzione, come nel periodo fra il 1933 al 1945. Non dobbiamo dimenticare.
E in Italia?
Durante la Seconda Guerra Mondiale furono operativi anche in Italia campi di concentramento e di transito: la loro funzione fu principalmente quella di smistare verso i campi di sterminio nella Germania nazista ebrei, rom e sinti, disabili, prigionieri politici e testimoni di Geova. Vennero istituiti dai tedeschi il campo di Fossoli, il campo di transito di Bolzano-Gries, il campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo (Cuneo) e la Risiera di San Sabba, a Trieste, considerato campo di sterminio, perché al suo interno trovarono la morte più di 5000 persone. Il fascismo aveva già creato campi e luoghi di confino e internamento per gli oppositori politici e dopo le leggi razziali venne costruito per gli ebrei il Campo di Ferramonti di Tarsia, in Calabria e fu complice delle deportazioni degli ebrei italiani.
Esistono ancora i campi di concentramento?
Il sistema concentrazionario nazista, per fortuna unico nel suo genere e speriamo mai più replicabile, non può farci distogliere lo sguardo dall’esistenza nel mondo di recinti dove all’interno sopravvivono ancora persone senza diritti, in condizioni precarie ed estraniate dalla vita.
Pensiamo ai lager libici dove rinchiusi, sottoposti a violenza, tortura e umiliazioni non accettabili, vivono i migranti dell’Africa subsahariana in attesa di raggiungere l’Europa per una vita migliore o a quelli in Turchia, dove sopravvivono circa 4 milioni di rifugiati siriani o ai campi profughi sulle isole di Lesbo, Chios, Samos, Kos e Leros.
In Cina e in Corea ci sono campi di prigionia per minoranze etniche, non conformi al regime: la minoranza cinese Uiguri, di religione islamica, torturata e costretta al lavoro forzato in un campo nella provincia dello Xinjiang; nel campo di Yodok, in Corea del Nord, vengono rinchiusi i Kwalliso, ritenuti responsabili di reati politici o contro lo stato, anch’essi condannati ai lavori forzati. E poi ci sono quelli a Myanmar, in Malaysia, in Bangladesh, dove vivono i perseguitati Rohingya. Difficile avere informazioni su quanto accade all’interno di questi lager perché al potere di questi stati governano regimi non democratici.
Ma ci sono esempi di campi di detenzione disumani anche negli Stati Uniti d’America, faro di democrazia, governata da Donald Trump: a pochi chilometri da El Paso e dal confine col Messico, nel luglio 2019, 250 minori migranti provenienti da El Salvador, Guatemala e Honduras, sono stati rinchiusi dentro grandi gabbie, in condizioni igienico sanitarie spaventose e senza la possibilità di ricongiungimento familiare: più di 100 avevano un’età inferiore a 13 anni, mentre 18 non superavano i 4 anni, il più piccolo, 4 mesi e mezzo.
In Italia esistono posti dove vengono ammassati i richiedenti asilo per l’identificazione, i centri di permanenza per il rimpatrio, CPR, strutture che diventano spesso aree di attesa troppo lunga per poter garantire a tutti, condizioni di vita accettabili. O luoghi, aree abusive, costruite dagli stessi migranti, clandestini ma sfruttati per il lavoro nero, agglomerati dove poter dormire e mangiare dopo la raccolta nei campi di pomodori o arance. Spesso hanno trovato la morte molti stranieri. Cito un titolo da ww.agi.it del giugno 2020 per capire: Operazione della Guardia di Finanza di Cosenza contro il caporalato. Sequestrate 14 aziende agricole nelle due regioni (Calabria e Basilicata ndr). Duecento i braccianti sfruttati. Matrimoni fittizi per favorire l’immigrazione irregolare. Arrestati caporali, loro complici, e imprenditori. Ai lavoratori che chiedevano di poter bere portavano acqua raccolta nei canali di scolo.”
Le parole di Primo Levi, sopravvissuto ad Auschwitz, sono ancora attuali:
“È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire”