Sono stato prigioniero in Germania, mangiavo le bucce delle patate.

Questo ci diceva mio padre, da bambini, a tavola, quando scartavamo il cibo. Lui ha sempre taciuto, su tutto il resto.

Ora, attraverso difficili ricerche, ho scoperto la sua deportazione.

Il primo documento nelle mie mani è una lettera del più grande archivio al mondo sulle vittime e i sopravvissuti al regime nazista, a Bad Arolsen. Mi conferma nel 2008 la sua presenza in Germania e mi fornisce le prime informazioni:

Restelli Vittorio geboren am 07.05.1917 in Tropea, Kgf. Erk. Nr. 52730, italienischer Militärintermierter Datum nicht verzeichnet im M- Stalag VIA (Hemer krs Iserlohn) und wurde am 31.08.1944 als Zivilarbeiter zum Arb. Amt Essen entlassen.

Restelli Vittorio nato a Tropea il 7 maggio 1917, prigioniero numero 52730, internato militare italiano, I.M.I, data di immatricolazione non pervenuta nello STALAG VIA di Hemer Iserlohn e diventa il 31 agosto 1944 lavoratore civile presso l’ufficio del lavoro di Essen.

Ci sarebbe molto da 
dire sui lavoratori civili considerando che pochi militari di truppa, qualche ufficiale
 o sottoufficiale, accettano spontaneamente. 
La stragrande maggioranza dei soldati diventa lavoratore coatto, Zivilarbeiter, con turni di lavoro massacranti e cibo secondo
 il rendimento. Mio padre lavora in miniera, me lo racconta mia madre, unica custode del suo passato. Mi racconta che ha salva la vita grazie al cibo che una ragazza gli passava sotto i reticolati.

Poi nel 2012 la storia si rivela in una vecchia scatola di tabacco trinciato, riemersa in cantina durante un trasloco: lettere ai genitori dal fronte albanese, dal lager, foto, bollini alimentari raccontano la dura esperienza che mio padre ha portato con sé senza mai fare parola su niente, ma gelosamente custodita in una vecchia valigia bianca, da cui non si separava mai.

Scrivo a diversi archivi comunali, Hemer, Essen, Dortmund, Bochum, all’Historisches Archiv Krupp, i padroni della miniera in cui lui potrebbe aver lavorato.
 Nessuno ha sue notizie.
 Nessuna traccia.

Nell’estate del 2018 arriva finalmente la risposta.

Il Tenente Colonnello, Francesco Montepaone, capoufficio documentale del Comando militare dell’esercito Calabria, dopo lunghe conversazioni telefoniche mi spedisce il verbale della Commissione Esaminatrice dei Reduci dove in prima pagina trovo scritto da mio padre, Non ho mai aderito al Partito Repubblicano.
 È l’originale, mi dice al telefono il Maggiore, ho capito che il suo lavoro è importante e poi siamo in possesso di tre copie uguali. Sono così emozionata da non riuscire a parlare, lo richiamo qualche giorno dopo per ringraziarlo. Nel verbale trovo molte informazioni, la cattura, poche informazioni sulla prigionia, il ritorno.

Nel verbale, scritto di suo pugno, nel dossier della “Commissione per l’esame del comportamento all’atto e dopo l’armistizio dei sottufficiali di carriera del Ministero della Guerra”, 21 agosto 1945 scrive:

alla data 8 settembre 1943 mi trovavo a prestare servizio a Tirana presso il 13 plotone mitragl. di posizione C.A. col grado di sergente (S.Tenente Mugavero Filippo comandante del reparto). In seguito all’Armistizio l’intero reparto fu catturato, prigioniero dei tedeschi ci hanno invitato a combattere al loro fianco. Poiché nessuno ha aderito al loro invito in data 18 settembre c.a. siamo stati tradotti in Germania e internati nel campo STALGER VI-A nella zona della Ruhr io col numero di matricola 52730.

Non mi sembrava possibile: mio padre aveva anche lui compiuto quel gesto? Non aderire alla RSI, “vivere” piuttosto due lunghi anni in miniera, di botte, niente da mangiare e con indosso la stessa divisa fosse caldo o freddo nel campo di internamento.

Per tanti anni avevo creduto fosse stato un fascista.

Ora mi resta qualche rimpianto per non aver saputo, non averlo potuto ascoltare e aiutare. Ho incontrato tanti soldati, reduci che come lui sono stati in silenzio. Ho ascoltato il suo amico fraterno Domenico Cortese, che mio padre aveva incontrato nel lager di Hemer, quindi in parte depositario della sua storia, ma l’emozione mi ha impedito di riprenderlo con la telecamera e di fare troppe domande.

È difficile affrontare l’impatto di queste storie seppur passate quando coinvolte ci sono persone a te care: mio padre era stato uno dei 650.000 militari che preferì dire No all’alleanza con l’esercito occupante.  Sopportare due anni di prigionia nella Germania nazista, schiavo per lavoro e umiliato nello spirito, piegato dalla fame e dalla violenza dei suoi carcerieri, che schierarsi contro il suo paese.

Non lo sapevo, non ho capito cosa si celava dietro il suo silenzio, ero solo una bambina.

MAPPA DEL CAMPO

FOTO DEL CAMPO

DOCUMENTI ORIGINALI

DOCUMENTI ORIGINALI VITTORIO RESTELLI

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TESTIMONIANZE

ADELMO FRANCESCHINI, internato militare n° 46737 STALAG III C Barsdorf. Intervista realizzata ad Anzola nel marzo 2014.

LIBRI

  • Vittorio Vialli, Ho scelto la prigionia. La resistenza dei soldati italiani nei Lager nazisti (1943-1945), Il Mulino, 2020
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