Le parole si imparano con l’esperienza, arricchiscono il tuo vocabolario e diventi così padrona del loro significato. Non ti lasciano. Ada Jerman, staffetta partigiana, catturata e deportata a Ravenbrück, il lager nazista femminile costruito a pochi chilometri da Berlino, ha imparato in fretta al mattino il significato di  quelle parole in tedesco, urlate come ordini senza appello: AUF – STEHEN – LOS – RAUS.  Se non voleva essere picchiata, punita agli appelli, doveva obbedire, rispondere velocemente. Quando le ripete ad alta voce, le scandisce a voce alta, decisa: AUF – STEHEN – LOS – RAUS.

Tu capisci, seduta dietro la telecamera, che le sono rimaste appiccicate addosso, fanno parte del suo essere, come tatuaggio sulla carne.

Io non ricordo la prima parola che ho imparato.

Leggere mi ha insegnato molti vocaboli, come fare esperienze diverse
e conoscere persone.

Quando incontrai ad Anzola dell’Emilia, Isolina Turrini, staffetta partigiana,
imparai fino in fondo il significato di parole fino allora vestite di retorica.

RESISTENZA – RASTRELLAMENTO – PARTIGIANI – NOME DI BATTAGLIA – BASE PARTIGIANA – STAFFETTA PARTIGIANA

Anzola dell’Emilia è un paese in provincia di Bologna sulla Via Emilia, l’antica strada romana che da Milano porta al mare fino a Rimini: un paese di pianura che si tinge d’estate di campi di grano, distese di fili d’erba, papaveri rossi.
Nella piazza Enrico Berlinguer, di fianco al monumento al partigiano, c’è un grande cuore, una scultura in acciaio, che a seconda di come lo guardi cambia forma ed è, secondo l’intento dei suoi creatori, sentimento e auspicio per un nuovo millennio più spirituale.

È l’anno 2000.

Il grande cuore di Anzola mi aprì le porte a un mondo nuovo, a una consapevolezza ancora più profonda del significato della parola Resistenza. Lo imparai, passeggiando per le strade del paese, tra le cavedagne in mezzo ai campi, ospite nelle case delle persone che hanno voluto testimoniare e mi hanno accolto con affetto, nelle ricorrenze dolorose degli anniversari. Il fascismo e la seconda guerra mon- diale hanno inferto al paese ferite profonde, una contabilità importante di caduti e vittime innocenti delle violenze nazifasciste. Le ritrovi come monito e testimonianza nei monumenti, i cippi, le targhe presenti sul territorio. Una comunità, allora si sarebbe detto il popolo, unita nella lotta per la libertà contro la dittatura, contro l’occupante tedesco e i fascisti, responsabili di denunce, rastrellamenti, stragi ed eccidi.

Come avrebbero potuto muoversi i tedeschi nei territori senza l’aiuto dei fascisti locali?

I giovani di Anzola sono stati i protagonisti di una lotta dura, serrata, in difesa anche dei contadini e di quel poco rimasto delle scorte alimentari negli ammassi e nelle stalle. La gente aveva fame non solo di cibo, uno di loro mi dice, la gente aveva bisogno di libertà. Quei giovani presero il nome di Partigiani e la lotta, dopo l’8 settembre, divenne Resistenza: resistenza all’occupante nazista, alla violenza e alle denunce dei fascisti, alle torture, alle attese pericolose nei rifugi.

Avevano come obiettivo la fine della guerra.

Mi son chiesta all’inizio di questo percorso perché i partigiani, protagonisti decisivi di un periodo storico di cambiamento, il passaggio dalla dittatura fascista alla Repubblica, non siano diventati famosi per i bambini della mia generazione come Giuseppe Garibaldi e Mazzini per il Risorgimento e l’Unità d’Italia. Oggi ricordiamo le vittime nel loro complesso, i morti nei campi di concentramento, i tragici eccidi di vittime innocenti, si parla solo da qualche anno dei sopravvissuti all’or- rore dei lager, ebrei, detenuti politici, militari. Noi bambini di allora, quelli del dopoguerra, non sapevamo niente della guerra di Liberazione, della Resistenza, perfino dei campi di sterminio nessuno ne parlò mai.

Solo la storia della piccola Anna Frank era arrivata fino a noi.
Grazie al suo Diario di bambina.
Ora capisco semplicemente che, ancora oggi, non è stata ancora fatta chiarezza su quel periodo della nostra Storia, non c’è stata una vera riflessione critica di condanna del fascismo, nonostante nella nostra Costituzione il fascismo sia considerato un reato.

E per questo forse i partigiani non sono visti come eroi, liberatori?  

Ho incontrato i partigiani, ormai ragazzi diventati anziani, grazie al primo film Che Storia è questa. L’entusiasmo dei loro vent’anni e il giusto valore da ridare alla Resistenza li ha fatti sedere sulla nostra sedia a parlare per far capire ai ragazzi cosa vuol dire vivere sotto una dittatura.

Non c’è mai odio nei loro racconti.

LE PAROLE CHIAVE della RESISTENZA

RESISTENZA: è il movimento di Liberazione che, dopo l’8 settembre 1943 fino all’aprile del 1945, lottò, al fianco degli Alleati, per cacciare l’esercito di occupazione appoggiato dalle milizie dei fascisti della Repubblica di Salò.

PARTIGIANI “Erano giovani che avevano voglia di libertà”.  I partigiani non formavano un esercito regolare con divise o armi in dotazione, spesso le armi erano vecchi fucili e le armi più sofisticate erano quelle sottratte all’esercito tedesco contro il quale combattevano. I partigiani si muovevano in bande o brigate. Compivano sabotaggi rivolti a operazioni militari del nemico, propaganda politica clandestina, grazie anche al sostegno della popolazione. Erano di diversi orientamenti politici e culturali: comunisti, monarchici, socialisti, cattolici, liberali, repubblicani, anarchici, azionisti insieme divennero partigiani intorno a una causa comune: opporsi ai nazifascisti che avevano occupato l’Italia e far finire la guerra.

STAFFETTA PARTIGIANA: il ruolo delle donne fu fondamentale per il movimento della Resistenza, in Italia e in Europa. Le donne garantivano il passaggio degli ordini, comunicazioni, documenti e materiali tra i diversi reparti delle formazioni partigiane, ma anche di beni alimentari, medicine, armi, munizioni, stampa clandestina.  In sella alla bicicletta a piedi sui sentieri di montagna o per le strade in città hanno rischiato la loro vita e molte donne sono state arrestate, torturate e uccise. Il ruolo di staffetta è stato a volte assunto anche dai bambini.

Le donne non hanno offerto alla Resistenza solo un contributo (come è stato detto purtroppo in passato) ma, hanno partecipato attivamente, ricoprendo funzioni di primaria importanza e ponendosi come elemento imprescindibile della stessa lotta di Liberazione. Si sono rese indispensabili nel prezioso compito della comunicazione: le staffette. Un ruolo spesso ricoperto da ragazze giovanissime per il semplice fatto che potessero destare minori sospetti. Avevano il compito di passare inosservate. Si muovevano disarmate tra i nemici, quando un’unità partigiana si spostava arrivando nei pressi di un centro abitato, erano loro che, per prime in bicicletta, entravano in paese assicurandosi che non vi fossero nemici. Un compito pericolosissimo.  Un po’ di numeri: Partigiane 35.000, Patriote 20.000, Gruppi di difesa 70.000 iscritte, Arrestate e torturate 4.653, Deportate 2.750, Commissarie di guerra 512, Medaglie d’oro 16, Medaglie d’argento 17, Fucilate o cadute in combattimento 2.900.” (postfazione al libro di Anna Cocchi, presidente ANPI provinciale Bologna)

NOME DI BATTAGLIA: a ogni partigiano e/o staffetta partigiana veniva assegnato un nome diverso dal suo, questo perché nel caso fossero stati catturati, non avrebbero potuto, neanche sotto tortura, rivelare i nomi reali delle compagne o dei compagni di lotta.

S.A.P. acronimo di squadre di azione patriottica hanno il compito di organizzare le persone, all’interno dei luoghi di lavoro – in particolare, le fabbriche e le campagne. Sono impegnate ad assicurare la protezione delle manifestazioni popolari di massa, di lavorare per la propaganda clandestina e di provvedere all’addestramento e alla preparazione di coloro che vogliono entrare nelle formazioni partigiane. Le SAP sono dunque il tramite fra la città e la montagna, tra chi combatte e la popolazione

G.A.P. acronimo di gruppi di azione patriottica, operavano azioni di sabotaggio e attentati contro gli occupanti nazifascisti all’interno dei centri urbani. Sono formati da quattro o cinque persone, uomini e donne ben addestrate. I gappisti conducono spesso una doppia vita, per camuffare l’attività clandestina. I GAP agiscono in ognuna delle città principali del centro-nord Italia dove, dall’autunno del 1943, organizzano e realizzano «attentati a reparti e sedi nemiche, a installazioni, impianti e reti di comunicazione, e uccisioni di ufficiali tedeschi, della R.S.I, Repubblica sociale italiana, il rinato fascismo di Benito Mussolini dopo l’8 settembre, e di spie.

BASE PARTIGIANA: alla Resistenza partecipò attivamente la popolazione civile, senza la quale il movimento partigiano non avrebbe avuto il sostegno necessario per una lotta, in gran parte clandestina. In campagna o in montagna le famiglie contadine misero a disposizione le loro case, a rischio della vita, come nascondiglio per i partigiani. Se i tedeschi avessero trovato un partigiano nascosto in un rifugio (nelle stalle o scavato nella terra tra la coltivazione) avrebbero incendiato la casa, la stalla, e arrestato o ucciso i componenti della famiglia.

In generale durante la Resistenza venivano chiamate basi tutti quei posti dove potersi nascondere per sfuggire e organizzare un nuovo attacco al nemico. 

RASTRELLAMENTO: operazione militare organizzata per la cattura di persone, avvenivano per lo più di notte e all’alba per cogliere la gente di sorpresa, spesso le truppe tedesche venivano accompagnate dalle spie italiane, fasciste, che conoscevano le persone da arrestare. “La gente veniva quasi sempre prelevata di notte nelle case e fatta salire sugli autocarri senza vestiti, senza scarpe. Spesso vi furono violenze alle donne. Ore di terrore venivano vissute dai prigionieri, tra i quali anziani e giovanissimi. La destinazione principale erano sempre le «Caserme Rosse» di Corticella (Bologna), ma se non c’era posto i rastrellati venivano fatti proseguire per Fossoli di Carpi, il più famigerato lager italiano, o addirittura per la Germania. Il trasferimento sugli autocarri era disumano: privi di qualsiasi servizio igienico, senza il benché minimo supporto alimentare, i prigionieri non avevano nemmeno il conforto di tendoni che li riparassero dalla pioggia e dal freddo”(fonte Anpi.it).

 

Per approfondimenti sulla Resistenza italiana:
https://www.anpi.it/storia/storie-della-resistenza-italiana

 

OGGETTI

FILM

ANZOLA DELL’EMILIA NELLA RESISTENZA 1943/1945
di Antonella Restelli

DONNE NELLA RESISTENZA A CASTELFRANCO EMILIA
di Antonella Restelli

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