Ma papà ha le gambe?

Era la mia pressante richiesta quando, a tre anni, guardavo quella foto, “incorniciata a giorno”, che la mamma teneva sulla toilette.

Era un “chiedere per sapere”, perché, il mio papà, non l’avevo mai visto. Lui era a casa in licenza quando io ero nato.

Subito dopo doveva essere tornato in Grecia dove, Ufficiale, era stato comandato.

È, questo, l’incipit di una storia durata almeno quarant’anni: sapere di mio padre, comprendere mio padre.

Comprendere: i suoi silenzi e quegli “strani comportamenti”.
Perché, strani, li consideravo.

È vissuto poco, solo cinquantasette anni.

Raro il sorriso. Più rara la risata.

Gli occhi tristi, mi dicevo, resi ancora più evidenti dal naso importante e dai baffi a cui mai aveva rinunciato.

Sì, tristi, quegli occhi, come nelle foto che mandava alla mamma; tracce anonime del suo pellegrinare dall’Albania alla Grecia, dove la guerra lo aveva portato.

Catanese, amante della “sua” Montagna, l’Etna era il suo regno.
Già con le prime nevi, quando poteva, andava a sciare.
Ne ho avuto notizia da una foto che aveva dedicato alla sua “Adeluzza”, la fidanzata.

Sciare, forse era un pretesto. Benché adulto, sull’Etna, si riuniva con altri dirigenti Scout.
Per quanto cattolica, questa Associazione era stata messa al bando dal fascismo.

Dettaglio questo, assieme a un altro non meno importante, che mi ha fatto comprendere perché, con l’Armistizio del 1943, finì, dalla Grecia nei campi di internamento tedeschi.

Già, l’altro dettaglio che aiuta a chiarire! Era “universitario-lavoratore”.
Il giorno della Laurea ebbe l’ardire di presentarsi in giacca e cravatta e non con la divisa del fascio. Da ciò che compresi, dai suoi molto stringati racconti, che riuscì a discutere la sua tesi, grazie alla bontà (fu complicità?) di un Professore che lo aveva seguito: di corsa, andò a iscriversi al “Partito del Fascio” e a farsi prestare una divisa. Il ritardo lo penalizzo nel voto.

Aderì al Fascismo soltanto per necessità: presto ebbe una moglie e un figlio già nato o prossimo a nascere e una storia familiare, che intuisco complicata di cui, mai fu detto nulla.

Poi fu la guerra, la lontananza, la cattura.

Ebbe l’offerta di aderire a un regime non suo e a dei “padroni” che la sua coscienza non gli consentiva di accettare.
Il suo fu un NO che pagò a caro prezzo.
Ebbe l’incertezza di vivere. Patì la fame, ricevette percosse. Visse la lontananza dai suoi affetti.

Sandbostel 23.12.1944 - Una cresima al campo di Sandbostel celebrata da Don Pasa, un Salesiano, capellano del campo. Le tre persone in primo piano: Giuseppe Impallomeni, mio padre Santo (è il padrino) ed il Tenente Chillemi.

Ciò che gli accadde lo conobbi dalle poche e “velate” parole, quasi si vergognasse. Il perché, solo da adulto, riuscii, soltanto e in parte a “decodificare”.
Restarono pochi oggetti del suo periodo di internamento.  E ciò che restò l’ho trovato in una grande scatola di latta assieme a pochi altri, insignificanti orpelli.

Ricordo che, con Mamma, poco dopo il suo ritorno, rivedette le poche lettere che ebbero modo di scambiarsi. Era un pacchetto di “carte” legato con un nastro che decisero di bruciare nel braciere. Fu una sera ed era inverno.
Assieme a poca brace, quelle lettere aiutarono ad offrirci più calore.

Le sofferenze patite, in breve tempo, si erano trasformate in malattia e presto fu “assenza”.
Con la sua morte, non potei più chieder e sapere.

Dalla scatola dei misteri

Potrei fare l’elenco di ciò che uscì quando, dopo anni, ci misi mano!

Da modesto cultore dell’Immagine, subito fui colpito dalla discreta quantità di negativi e foto.
Immagini d’ogni tempo: dalla fine dell’Ottocento agli anni Cinquanta.
Avi, Nonni, nascite, Famiglia e guerre.
Le Guerre:
La “Grande” narrata da poche immagini del Nonno materno, Volontario, da Catania alle falde dei Monti Veneti; e quella altrettanto grande definita anch’essa “Mondiale” a cui fu comandato mio padre Santo.

In queste ultime foto, vi è la storia di un “Ufficialetto” di primo pelo, mio Padre appunto, che parte per una guerra aborrita, non voluta.
Obbedisce!

Disordinata è la narrazione, perché, le foto sembrane essere state mescolate, come le carte prima di una partita.
Molte foto, naturalmente in bianco e nero, quasi nessuna data e mai  l’indicazione della località sul retro.

Comprendo, dov’è, dal vestire della gente, a volte dai costumi e da qualche veduta.
Cerco di ricostruire i “capitoli” della sua storia suddividendo le foto in mazzetti seguendo logiche incredibili: il colore della carta, l’ingiallimento, persino la comparazione della dentellatura dei margini che, in quegli anni, si usava effettuare.

La mia attenzione è “scattata” quando, per mano, mi sono passate delle foto, di diverso formato e qualità della carta, che, con cruda evidenza, mostravano Uomini in un campo di concentramento. Me ne da conferma il teutonico timbro, sul retro, che “autorizza” la foto e riportava la sigla del campo.
C’è poco altro.

E mi si è stretto il cuore quando ho tirato fuori un libriccino.
Costituito da pagine arrangiate con carta, trovata chi sa come e dove, riunite con ago e filo.
La copertina, di colore diverso riporta, a matita, il nome di una cittadina: Essen.
La scrittura, nel ricettario, è piccola, minuta.
Sicuramente c’è da risparmiare spazio.

Quanto tempo dovrò stare lontano da casa? Dove? Queste le quotidiane domande che intuisco.

Osservo.
In calce alla “Prefazione” la località indicata è Deblin Irena ed è la continuazione di un Calvario che passerà, anche per Sandbostel e Wietzendorf.
Leggendo, comprendo che, la fame e le privazioni dell’internamento, si esorcizzano sognando cibi e scrivendo ricette e consigli “per quando si ritorna.

RICETTARIO di Sante Giuffrida

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IL RICETTARIO di Santo Giuffrida