MAPPA DEL CAMPO

FOTO DEL CAMPO

TESTIMONIANZE

Costituzione: 22 aprile 1943

Ubicazione: brughiera di Lüneburg,
a 100 km da Amburgo e a 65 km da Hannover.

Originariamente si trattava di una serie di baraccamenti per un campo di lavoro che fu poi abbandonato e trasformato in caserma. In seguito, nel 1941, vennero accampati all’aperto prigionieri di guerra russi, circa 20.000, decimati dalla fame, dal freddo e da una terribile epidemia di tifo.

Soltanto nel 1943 Bergen-Belsen divenne un vero lager sotto il comando delle SS. I primi gruppi di deportati furono ebrei provenienti dall’Albania, Grecia, Ungheria, Paesi Bassi e Polonia; alla fine dell’anno 1944 l’effettivo numero era di 15.220 internati che passerà poi nel marzo del 1945 a 50.000, di cui 26.300 donne. Nei primi giorni dell’aprile ’45 un secondo campo era stato installato a qualche chilometro dal primo campo. Questo nuovo campo ebbe il compito di ricevere i contingenti di uomini, di donne e di bambini che dopo il febbraio ’45 all’approssimarsi degli alleati, arrivavano giorno e notte, a piedi o in camion, dagli altri campi: Auschwitz, Buchenwald, Dachau, Sachsenhausen, Neuengamme. Il criminale Joseph Kramer, Hauptsturmführer delle SS, che aveva fatto le sue esperienze nel campo di Natzweiler-Struthof, assunse il comando di Bergen-Belsen dal 1 dicembre 1944 e si rese protagonista di indescrivibili atrocità verso i deportati.

Sulla crudeltà delle SS di Bergen-Belsen c’è una testimonianza significativa di Michel Fliecx, dal suo libro “Pour délit d’espérance” del 1947: “Un giorno vedemmo arrivare un gruppo di donne venute da Ravensbrück, evacuate a causa della avanzata russa. Tra di loro una trentina di zingare che formavano le ultime file e portavano in braccio i loro piccoli morti di fame durante il viaggio”.

Le SS che le contavano all’entrata rimasero perplesse: “Bisogna contare anche i bambini morti ! oppure no? Non ne vale la pena – disse un SS, con una gran risata – non possono certo scappare!”.

Non è possibile stabilire con esattezza quale sia stato il numero dei prigionieri deceduti in questo lager, ma anche attenendosi alle stime più basse, si deve concludere che circa i due terzi dei prigionieri non riuscirono a sopravvivere: nel periodo 1943-1945 su 125.000 detenuti più di 50.000 morirono. Questo campo non fu solo la meta di molte marce di evacuazione, ma divenne anche un centro di raccolta per detenuti invalidi provenienti da altri lager e in qualche modo, raccolse l’eredità di Auschwitz e completò l’opera dell’antisemitismo nazista.

Da Auschwitz furono riportate in Germania e, proprio in questo campo, anche Anne e Margot Frank che, colpite dal tifo, morirono entrambe nel marzo del 1945 a poche settimane dalla sospirata liberazione.

Bergen-Belsen fu liberato il 15 aprile 1945 dalle truppe inglesi che, entrando nel campo n. 1, si trovarono davanti uno spettacolo spaventoso: in un recinto di 1.500 metri per 400 giacevano in varie baracche di legno 28.000 donne e 12.000 uomini vivi, mescolati con 13.000 uomini e donne morti e alcune decine di migliaia di cadaveri che in precedenza erano stati ammonticchiati alla rinfusa nelle fosse comuni del campo.

Altre 13.000 persone morirono subito dopo la liberazione. Migliaia di soldati inglesi lo videro coi loro occhi, e separarono con le loro mani i vivi dai morti.
L’effetto sulla opinione pubblica europea fu enorme e accadde così che proprio uno dei campi meno “duri” dovesse, paradossalmente, diventare il simbolo della persecuzione nazista degli ebrei. Dopo tutto, quello che gli alleati videro qui non era diverso da quello che era accaduto in altri campi dove però si era avuto il tempo di bruciare o interrare i cadaveri. Il campo era diventato con i trasferimenti provenienti dagli altri lager una vera torre di Babele. I prigionieri arrivati a Bergen Belsen venivano volutamente fatti morire di fame. A tre chilometri dai recinti gli alleati trovarono 800 tonnellate di viveri e un impianto capace di sfornare 60.000 pagnotte al giorno.

Un mese dopo la liberazione del campo, il 21 maggio 1945, le autorità militari britanniche per misure di sicurezza e per eliminare la diffusione del contagio del tifo incendiarono tutte le baracche. Così sparirono le tracce dell’inferno di Bergen-Belsen, episodio mostruoso della deportazione nazista. Tra i sopravvissuti Settimia Spizzichino, l’unica ebrea romana superstite della deportazione del 16 ottobre 1943.

Fonte ANED
a cura di Romolo Tintorri, internato sedicenne a Fossoli il 4 luglio 1944 deportato a Neuengamme

Condividi su